Grazie per esserci
Oggi ne compio sessanta
Oggi compio 60 anni non lo scrivo per aumentare il numero di
persone che mi fanno gli auguri, anche se confesso di provare grande piacere
nel ricevere auguri.
Scrivo perché ho voglia di condividere con le persone che mi
vogliono bene un evento per me importante. Non è importante per i 60 anni perché,
come sempre, il compleanno è una data di passaggio come dire, obbligata ed
ognuno è importante allo stesso modo.
È importante per me condividere la felicità e la gioia che
provo nel esserci arrivato a questo “traguardo”.
In sostanza, vorrei condividere con le persone che mi
vogliono bene il mio stato d'animo, convinto che proprio perché mi vogliono
bene potranno trarre un po’ di gioia condividendo la mia felicita nell'essere
arrivato ad oggi.
Va fatta prima di tutto una premessa. Chi deve affrontare una
malattia impegnativa come è il cancro reagisce in tanti modi, ma c'è una
costante che accomuna tutte le persone che affrontano questo problema. Questa
costante è il guardare avanti ponendosi di
fronte a alcuni “grandi quesiti” che si riassumono sempre nella
domanda “arriverò a….” e poi ognuno ci
aggiunge una data che per lui o per lei ha un significato, rappresenta una
meta, un desiderio, un sogno. Il fatto stesso di porsi questo genere di quesiti
mette in chiaro che un cancro modifica, comunque, l’approccio al vivere
permettendo (in un certo senso regalando) nuovi punti di vista e nuove (forse
più appropriate) prospettive.
Nel mio caso le date erano due la prima era la laurea di
Betty la seconda era oggi.
Nel primo caso ero consapevole che la data importante non
prevedeva necessariamente la mia presenza. Betty ci sarebbe comunque arrivata
anche senza di me. Era un mio desiderio arrivarci e partecipare ma quell’evento
ci sarebbe stato comunque indipendentemente dalla mia presenza.
Nel secondo caso il mio stare in vita sarebbe stato
“determinante” perché l’evento-obiettivo potesse realizzarsi.
Quindi arrivare ad oggi era un punto di riferimento
importante. Chi mi ha voluto bene e chi mi vuole bene, in questi mesi mi è
stato vicino e per questo mi sembra giusto affermare e vivere questa mia gioia insieme
a queste importanti (fondamentali risorse del mio vivere).
Nel farlo però ho pensato che fosse importante provare ad
aggiungere qualche cosa alla, seppur importante, condivisione della gioia.
Intendo dire che, anche in un momento come questo, può
risultare utile “condividere” qualche ulteriore riflessione.
Naturalmente mi rendo conto che questo mio pensiero vada un
po' oltre la condivisione di una gioia e, quindi, penso che a questo punto
della lettura del post, possa essere del tutto naturale perdere l'interesse a
ciò che cerco di trasmettere. So che ii miei pensieri sono, come al solito, un po’ prolissi e
pallosi.
Però fa parte un po' della mia personalità provare comunque a
fissare un pensiero.
In questo caso quello che ho pensato di condividere nasce da
una domanda che spesso mi sono sentito porre in questi mesi da molte persone
con le quali ho trascorso momenti e ho condiviso questa fase della mia vita.
La domanda era : “ma come si fa ad affrontare certe
situazioni e in particolare la malattia che nel nostro inconscio genera paura
ed è associata ad una condanna, come fai tu, sorridendo, e con una manifesta
serenità?”.
Ho riflettuto a lungo su questa domanda o su quesiti simili.
In realtà non esiste una risposta specifica, però mi sono reso conto che “il
come si fa” può collegarsi in modo diretto a quello che, da sempre, mi
accompagna anche nella mia vita professionale, sostenendo le poche cose che
cerco di trasmettere anche ai miei studenti.
Il tema è un po' complesso anche se in realtà si associa a
concetti abbastanza banali.
In sostanza la mia attuale e felicità non è che uno stato di vita che mi ha sempre
accompagnato e rappresenta il risultato di alcune piccole “consapevolezze”
ossia, prima di tutto, il credere che la vita, sia personale sia professionale,
e quindi sia quella del singolo,sia quelle delle delle imprese, possa essere
affrontata partendo da alcune considerazioni di base e rispettando qualche
piccola regola.
Tra i “concetti” base rimane fondamentale quello della “condivisione”,
ossia di muoversi cercando di vivere insieme agli altri le proprie esperienze
cercando sempre quegli equilibri difficili da trovare che rafforzano la “comunione”
di intenti, di comportamenti ma anche di tempi e modi dell’agire.
Essere uno solo nella consapevolezza di poterlo essere insieme
ad altri/altre è un modo fondamentale sia per rafforzare il proprio agire, sia
per cercare di non esasperare nell’agire il proprio punto di vista riconoscendo
idee, spazi, interessi, aspettative, esigenze degli altri. E’ una sfida
difficile ma strepitosamente vincente e gratificante. Io credo di potere dire
che valga sempre, dal rapporto stretto con chi condivide ogni giorno la
componente personale/affettiva della vita a quello meno continuativo, ma
altrettanto significativo dei vari “compagni di strada” con i quali si
condividono percorsi più o meno lunghi di vita anche nel campo professionale.
Credo sia altrettanto interessante associare un altro
concetto che sto mettendo nero su bianco con una piccola considerazione, che
potremmo definire di natura accademica, e che mi porta ad esplicitare (e
condividere)un altro elemento del mio vivere.
La mia vita nel mondo dell'Accademia trascorrere serenamente
nella più assoluta situazione di anonimato e di mancanza di formali
riconoscimenti da parte del sistema a cui, più o meno impropriamente,
appartengo.
Sono consapevole di questa assoluta marginalità che mi ha
accompagnato praticamente da sempre.
Non nego che la cosa mi abbia addolorato, sia perché mi ha
messo di fronte a una valutazione che, esprimendo un non interesse e non apprezzamento per ciò che ho
fatto/detto/scritto, mi ritornava un giudizio negativo sul mio fare parte di
questo mondo.
Sia perché, inutile negarlo, mi è spesso risultato difficile
non riflettere su alcune “carriere“ decisamente lontane da ciò che nella mia
testa rappresentava un merito accademico.
Devo anche sottolineare come, in modo forse non propriamente
intriso di umiltà, ho continuato, spesso mettendomi in profonda discussione, a
portare avanti le mie considerazioni e le mie idee legate al tema che sto
trattando.
Sinceramente devo anche dire che in questi più di 35 anni il
mondo dell'Accademia mi ha regalato la gioia legata al giudizio che più conta,
secondo me, per chi tenta di trasmettere qualche contenuto.
Mi riferisco ai miei studenti e alle mie studentesse il cui
affetto, che dura nel tempo, compensa ampiamente quel senso di marginalità che
il sistema accademico mi ha regalato.
La considerazione di natura accademica nasce dal fatto che
nell’affrontare il quesito a cui vorrei provare a rispondere devo richiamare
uno dei concetti base del mio “provare ad insegnare qualche cosa”, ossia quello
che caratterizza l'approccio al vivere “opportunità” in ogni sfida ed in ogni
crisi.
Per tanti anni questo concetto/pilastro per me rilevante mi
ha visto, come dire, un po' irriso dal mondo accademico che faceva molta fatica
ad accettarne il significato è che, nella sostanza, l'ha sempre rigettato.
Oggi come per altri concetti altrettanto importanti (almeno
per me), non riconosciuti e rigettati, trovo, con una certa sistematicità
richiamato il tema della resilienza in articoli o manuali che parlano di
management. Ed è' proprio l'approccio resiliente che riassume quel pilastro di
cui vorrei parlare.
Credo che la vita rappresenti una grande opportunità in tutte
le sue sfaccettature.
Certo quel richiamo alla felicità con la quale oggi faccio i
conti nel momento in cui posso festeggiare la tappa dei 60 anni, non può
dipendere esclusivamente dalla propensione ad affrontare il vivere, con le sue
sfide, sempre e comunque basandosi sulla volontà di cogliere le opportunità che
il vivere offre.
Non basta cercare costantemente una strada che porti ad
arricchire il nostro partecipare al vivere.
Non basta fare tesoro delle esperienze nella convinzione che
ogni tassello esperienziale rappresenti un mattone significativo del vivere.
Non basta nemmeno interpretare ogni momento ed ogni
esperienza attraverso il filtro positivo, quello che nel gergo, semplicemente
ed efficacemente, viene rappresentato con il bicchiere mezzo pieno.
Non basta nemmeno avere la consapevolezza di come ciò che
stiamo vivendo potrebbe essere diverso (peggiore) di quanto oggettivamente sia.
Non basta, quindi, oggettivamente, vivere basandosi su questa
modalità. Anche se in questo modo credo si possano determinare occasioni e si
faciliti il vivere, cogliendone più efficacemente le potenzialità.
Io credo che, comunque, sia questo il “segreto” che, in
qualche modo, può portare alla una risposta alla domanda che spesso mi è stata
posta.
A questa considerazione di metodo ne aggiungo un’altra che,
ugualmente, penso/spero possa aiutare a condividere un’esperienza e uno stato
di felicità. Lo spunto me l’ha dato una canzone di Bob Dylan che,
inaspettatamente, mi ha mostrato un altro tassello del mio approccio al
vivere.
Un altro pilastro che, con l'esperienza degli anni, ho
imparato a rispettare (a volte con una certa fatica/sofferenza) per sostenere
questo mio modo di vivere e che vale, a mio avviso, ancora una volta sia a
livello personale sia a livello professionale.
Ho imparato che dobbiamo essere capaci di dire addio e non
arrivederci a persone o situazioni che per motivi più disparati non sono
compatibili con il nostro vivere, le nostre aspettative, le nostre emozioni.
Ho imparato che una volta verificato è messo anche in
discussione un pensiero o un valore, il trovarsi in conflitto o sentirsi
traditi o subire una distanza, richieda la capacità di tagliare e cancellare
sia il rapporto sia le considerazioni che amaramente il rapporto negato o
fallito porta con sè.
Non serve, non aiuta e non fa bene provare a pensare ad un
“arrivederci”. Si può e si deve “imparare” da ciò che l’incontro (o
l’esperienza) ha offerto (nel bene o nel male) ma se l’incontro o l’esperienza
ha generato negatività va chiuso escludendo un secondo incontro.
Associando al pilastro della resilienza questo ne deriva però
l'esigenza di fare tesoro di quanto vissuto ossia non subirne solo gli effetti
negativi ma “apprendere” sempre e comunque. Anche il credere nella possibilità
(necessità) di apprendere, penso sia un altro importante pilastro che mi ha
aiutato e mi sostiene nel mio vivere felice.
E qui concludo questa riflessione, ci sono arrivato e ora,
prima di pormi altri obiettivi del vivere ho voglia di “godere” e di
“condividere” il piacere di questo esserci felicemente ed in grado di assorbire
con gioia quello che la vita e le persone intorno a me mi regalano
quotidianamente.
Non sono felice
"malgrado" perché ogni malgrado brucia e riduce la
chimica generata dalla felicità.
Sono fortunato per un numero
importante di motivi, ma soprattutto per quello che quotidianamente raccolgo
attraverso le più disparate esperienze. Sono fortunato perché ogni giorno posso sorridere e condividere il sorriso con chi mi
vuole bene.
Sono fortunato perché ogni giorno ho vicino a me persone da ascoltare, da cui
imparare, persone con cui discutere e confrontarsi, ma anche persone che mi
offrono l'opportunità di provare ad "insegnare" qualche cosa.
Sono fortunato per l'amore che ho
attorno a me e per quello che riesco a vivere.
Sono fortunato perché posso coltivare il ricordo di chi non c'è più consapevole di quanto queste persone valgano e siano dentro e
con me..
Ho un numero incredibile di grazie da rivolgere a chi, in
vario modo, mi è vicino e ho provato a farlo rendendo chi mi vuole bene
partecipe del mio essere felicemente arrivato a questa meta.
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